Anima/l & core

CENTRO HABITAT MEDITERRANEO – LIPU OSTIA Centro Visite Mario Pastore
Con il Patrocinio del Centro Internazionale Antinoo per l’Arte – Marguerite Yourcenar

Il rapporto degli esseri umani con gli animali è antico ed intrecciato con le azioni legate alla pulsione per la sopravvivenza, ma si intreccia fedelmente anche con le “Culture”, per questo subisce variazioni nel tempo e nello spazio ed ha ampia familiarità con l’Immaginario. Quello che si propone in questa mostra fotografica, è una lettura di questo rapporto problematico, un rapporto in divenire che, in parallelo alla
progressiva distruzione della Natura e degli “habitat specifici”, ha già chiari connotati nell’evidenziare nevrosi da una parte, ma anche riscoperte di valori terapeutici dall’altra.
Questi sono i vari ritratti di un “amore selvaggio”tra due Mondi, quello degli esseri umani e quello degli animali, nel pieno rispetto della comunicazione non-unidirezionale…come dice Carla Guidi, ideatrice della Mostra, con un suo testo
letterario dal significativo titolo “Anima-l & Core” l’inizio di una diversa visione dell’animalità, non come simbolo, non come espressione del Male e dell’incontrollabilità dell’Istinto, ma in molti casi per un lavoro in sinergia ed anche per ottenere un recupero fisico e/o mentale di persone malate. Ci sono le foto di ragazzi
con i loro cuccioli (ed i bambini come gli adolescenti, hanno un bisogno estremo di questo rapporto, in particolare nelle grandi città, come ha capito benissimo Walt Disney) ci sono le foto di adulti educatori cinofili, ben consapevoli di quello che da questo rapporto ci si può aspettare, volontari dell’associazione culturale “Colonia felina di Torre Argentina” che assistono i famosi gatti di Roma, i volontari della LIPU di
Ostia e gli operatori di Ippoterapia e Pet-therapy che si occupano di terapie molto delicate ed efficaci. (Carla Guidi)

Valter Sambucini – “Animali e altre creature” – di Barbara Martusciello

Il mondo animale, le sue creature, hanno ricoperto un ruolo importantissimo nella rappresentazione artistica sin dalle origini dell’uomo. E’ interessante afferrare le modificazioni di tale raffigurazione in riferimento alle diverse culture e ai più disparati concetti artistici delle differenti epoche. Sappiamo come tale argomento sia stato inciso e tratteggiato sulle pareti di antichissime caverne per esibire – in uno dei rapporti più cruenti ma necessari per la vita di intere comunità e legati al proprio sostentamento – la caccia, ma anche la pesca. Sono stati temi di una riproduzione che ha descritto, imitandola in maniera essenziale, la Realtà – anche a fini apotropaici – attraverso composizioni visive che oggi noi riconosciamo come artistiche, ma che in quei tempi lontani si palesavano come comunicazione narrativa del qui-e-ora.

Successivamente Greci, Egizi e Romani per esempio, restituirono con maggior precisione e naturalismo gli animali, la cui presenza nelle varie opere diventa frequente come resa di quanto era usuale nella quotidianità domestica, ma anche con un valore altamente simbolico e legato al culto. L’animale entrava nella vita e nell’Arte sia per se stesso che come personificazione del divino, nel bene e nel male. Per esempio, per gli Egizi l’anatra era sacra ad Amon-Ra, lo era il gatto, emanazione anche di Bastet la dea-felino che aveva dei poteri di guarigione, mentre il falco incarnava le diverse forme del dio sole; L’Olimpo dei Greci era affollato di bestie, spesso manifestazioni o alter-ego di Zeus universale, o incrociati con gli esseri umani, come nel caso del Minotauro, dei Centauri, delle Sirene e di Echidna, la donna-serpente, quel serpente che nelle effigi del Cristianesimo e del Cattolicesimo è onnipresente.

I bestiari medioevali, le miniature, le architetture e le loro decorazioni, il Gotico internazionale, producono e restituiscono un florilegio di animali reali e fantastici che proseguirà nel Rinascimento e si darà, attraverso la meraviglia nel Barocco, a un’esibizione più mondana nel Rococò. Gli animali torneranno come tematiche legate a una raffigurazione ideale e winckelmanniana nel Neoclassicismo, più visionaria o comunque allegorica nel Romanticismo. Da questo momento in poi si tenderà ad arti sempre più realistiche, con una ricerca di esattezza e scientificità che diverrà secondaria solo poi, specialmente a partire dall’ufficializzazione della Fotografia.

Dal 6 gennaio e, con più solennità dal 19 agosto 1839, grazie a Louis Jacques Mandé Daguerre – ricordando il suo socio Joseph Nicéphore Niépce, l’apporto del Governo francese e il tramite di François Arago – l’arte si libera dall’obbligo della mimesi e la Fotografia accoglie, piano piano, il mondo tutto nella sua restituzione illuminata. In questa produzione, gli animali saranno una presenza piuttosto costante, e non solo e non tanto come soggetti di studi scientifico-fotografici – come quelli visualizzati nei decenni finali dell’800 dal fisiologo-fotografo francese Étienne-Jules Marey e dell’inglese Eadweard Muybridge – o di reportages alla National Geographic, che annovera in un suo numero di luglio del lontano 1906 un pioniere della Fotografia come George Shirah, deputato americano e antesignano dell’ambientalismo, che realizza immagini degli animali fotografati nel loro habitat. E’ invece interessante, ai fini di questa mostra di Valer Sambucini, individuare come il disegno con la luce – che resta tale, almeno concettualmente, anche con l’avvento del digitale – possa immortalare il rapporto positivo tra l’uomo e i suoi animali domestici, fermando quell’interazione fondata sull’affetto e la cura che, per esempio, egli evidenzia nei ritratti di alcuni esponenti della LIPU in compagnia dei loro protetti, o negli operatori dell’Ippoterapia con i loro cavalli, oltre che di molte persone con i propri Pet, o con le giovani volontarie a contatto con gli ospiti presso la colonia felina di Torre Argentina a Roma.

Con una grande naturalezza, la Fotografia può restituire un mondo, come fa quella di Valter Sambucini che, come ho già avuto modo di scrivere, sembra appropriarsi di un motto di  Mario Giacomelli che sosteneva che “la fotografia è una cosa semplice. A condizione di avere qualcosa da dire”. Il nostro Sambucini ne ha molte di queste “cose da dire”, tramite serie fotografiche che, di volta in volta, affrontano aspetti della vita spesso legati a pratiche di condivisione: dalle processioni alle parate, ai festival, kermesse e simili, ritrovi e rituali collettivi. Ora è la volta degli animali, o più precisamente, ad essere affrontate sono le relazioni degli umani con gli animali. Non è un’analisi che il nostro autore cerca, con il suo obiettivo; non vuole darci una disamina, ma è certo che dai suoi scatti emerge un resoconto con un taglio di (apparente) spontaneità. La sua messa a fuoco è a tratti commovente, rivela pose e attitudini talvolta giocose, tenere, intense, che celano scelte individuali come tante, ma mai abbastanza, che sembrano volerci tranquillizzare dandoci speranza, se vale affidarsi alla citazione M. K. “Mahatma” Gandhi: “La grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali.”